In primo piano, come è giusto che sia, svetta l’Elvira cantata per la prima volta dal soprano di coloratura nata nel delta del Jazz, Lisette Oropesa. Forte di un’emissione infallibile quanto a intensità e intonazione, velocità e precisione lungo l’intera estensione, l’Oropesa fa del vibrato l’essenza stessa del suo canto, letteralmente metabolizzando melodia e tecnica per trasformare in luminosissimi fili dai suoni di perla ogni sorta di asperità in zona acuta e sovracuta. La sua Elvira, con ben quattro cambi d’abito da concerto e una credibilità gestuale prossima alla versione scenica, vola facile e ad altissima quota solcando trilli, scale, salti, arpeggi e quant’altro con una naturalezza e una bellezza di pasta rari. Ma non è solo bravura in pentagramma. Sin dalla sortita in scena accanto al paterno zio Giorgio Valton, ben si comprende quanto il personaggio creato per la Grisi e ricucito sulla Malibran per una non più realizzata première partenopea, sia perfettamente nelle corde e tra le sfide già vinte del suo repertorio per verità di accenti, per l’estrema fluidità dei passaggi, la luminosità densa e levigatissima delle puntature stellari.E se la sua polacca “Son vergin vezzosa” intonata in abito bianco al Finale I si rivela presto una vera delizia per connotazione ritmica, trillature in ogni dove e salti all’apice dell’estensione mai aspri o lanciati al caso, non meno folgorante risulta la sua scena e aria della demenza o pazzia per amore (“Qui la voce sua soave”) fitta di esposizioni espressive fra slanci, estasi, mutamenti e pause. Fino a brillare in un sublime Si bemolle al platino e nell’Allegro, dopo il fuoco delle ripide discese cromatiche, in un poderoso Mi bemolle sovracuto.
Front and center, as it should be, stands out Elvira, sung for the first time by the coloratura soprano born in the Jazz Delta, Lisette Oropesa. With a delivery that's flawless in intensity and pitch, speed, and precision across her entire range, Oropesa makes vibrato the very essence of her singing, literally metabolizing melody and technique to transform every potential harshness in the high and very high registers into brilliantly luminous threads of pearlescent sounds. Her Elvira, with no fewer than four concert dress changes and a gestural credibility close to a staged version, soars high and effortlessly, navigating trills, scales, leaps, arpeggios, and the like with a naturalness and a rare beauty of timbre. But it's not just about skill on the musical staff. From her first entrance on stage beside her fatherly uncle Giorgio Valton, it's clear how well the character, created for Grisi and later tailored for Malibran for an unrealized Neapolitan premiere, fits perfectly within her repertoire, already conquered challenges, for the truth in her accents, the extreme fluidity of her transitions, and the dense, incredibly smooth brilliance of her stellar high notes. And if her polonaise "Son vergin vezzosa," sung in a white dress at the end of Act I, soon reveals itself to be a true delight for its rhythmic qualities, trills everywhere, and leaps at the peak of her range that are never harsh or randomly thrown, equally dazzling is her mad scene aria ("Qui la voce sua soave") filled with expressive expositions among flights, ecstasy, shifts, and pauses. Culminating in a sublime platinum B flat in the Allegro, after the fire of steep chromatic descents, in a powerful E flat in the extreme upper register.
— Paola De Simone • Conessi all'Opera