Dunque nessuna bizzarria scenica, ma tanta attesa specialmente per la stella della serata, Lisette Oropesa, in un doppio debutto, sia davanti al pubblico del San Carlo (sul cui palcoscenico era già salita per un recital a più voci diffuso in streaming a fine 2020) che nel ruolo di Elvira. Il soprano non ha deluso, la sua è stata un'Elvira fragile, espressa con voce delicata ma sicura e solida tecnicamente, impreziosita da un timbro vellutato appena screziato. In più si è rivelata ben “in stile” con l'estetica belcantistica, usando anche i virtuosismi a scopo espressivo e una dizione nitidissima che le permetteva i giusti accenti. È stata anche quella che più di tutti, in questa esibizione concertante, ha cercato con gesti, sguardi, qualche movenza, di dare l’idea drammatica del personaggio. Ottima prova quindi che ha avuto il clou nella grande scena di pazzia, condotta con accenti patetici e ottimo controllo delle agilità, con le variazioni ben condotte ma misurate nella ripresa della cabaletta.
In primo piano, come è giusto che sia, svetta l’Elvira cantata per la prima volta dal soprano di coloratura nata nel delta del Jazz, Lisette Oropesa. Forte di un’emissione infallibile quanto a intensità e intonazione, velocità e precisione lungo l’intera estensione, l’Oropesa fa del vibrato l’essenza stessa del suo canto, letteralmente metabolizzando melodia e tecnica per trasformare in luminosissimi fili dai suoni di perla ogni sorta di asperità in zona acuta e sovracuta. La sua Elvira, con ben quattro cambi d’abito da concerto e una credibilità gestuale prossima alla versione scenica, vola facile e ad altissima quota solcando trilli, scale, salti, arpeggi e quant’altro con una naturalezza e una bellezza di pasta rari. Ma non è solo bravura in pentagramma. Sin dalla sortita in scena accanto al paterno zio Giorgio Valton, ben si comprende quanto il personaggio creato per la Grisi e ricucito sulla Malibran per una non più realizzata première partenopea, sia perfettamente nelle corde e tra le sfide già vinte del suo repertorio per verità di accenti, per l’estrema fluidità dei passaggi, la luminosità densa e levigatissima delle puntature stellari.
E se la sua polacca “Son vergin vezzosa” intonata in abito bianco al Finale I si rivela presto una vera delizia per connotazione ritmica, trillature in ogni dove e salti all’apice dell’estensione mai aspri o lanciati al caso, non meno folgorante risulta la sua scena e aria della demenza o pazzia per amore (“Qui la voce sua soave”) fitta di esposizioni espressive fra slanci, estasi, mutamenti e pause. Fino a brillare in un sublime Si bemolle al platino e nell’Allegro, dopo il fuoco delle ripide discese cromatiche, in un poderoso Mi bemolle sovracuto.
Lisette Oropesa al suo debutto assoluto nell’Elvira belliniana ripaga pienamente l’attesa di ascoltarla - aggiungiamo, finalmente! - al Teatro San Carlo. Sin dal duetto fra Elvira e Giorgio "Sai come arde in petto mio" la Oropesa si impone per precisione, perizia tecnica, bel colore, perfetta proiezione vocale e intensità drammatica.
Il bagaglio tecnico, il dominio perfetto delle colorature, dei trilli dei re e mi bemolle di tradizione, il perfetto appoggio della voce sul fiato, il legato nobile forgiano un’Elvira elegante e composta pur nella tormentata psicologia. Lisette Oropesa ci fa ascoltare l’evoluzione degli stati d’animo della protagonista, quel percorso lungo percorso costellato di gioia, delusione, disperazione, follia e, infine, felicità riconquistata. La grande scena della follia "Qui la voce sua soave" è ammantata di aristocratica compostezza: siamo davanti ad un’Elvira lunare piuttosto che stralunata.È affidato quindi al gioco forsennato delle colorature della successiva cabaletta - tutte calibratissime, di precisione strabiliante - a rendere poi ancor più plastico lo stato di alterazione mentale della protagonista.
Già, le colorature: nel canto di Lisette Oropesa appaiono perfettamente integrate con le melodie di Bellini, mai orpelli sovrapposti al disegno melodico; del melos, invece, diventano parte inscindibile, tanta è la perfetta commistione, la spontaneità dell’esecuzione e l’aderenza drammatica. Una interpretazione dell’Elvira di Bellini, quella dell’Oropesa, che al suo primo incontro è un compendio di tecnica vocale, un saggio di estetica belcantistica e un’interpretazione accurata ed elegante della complesso personaggio belliniano.
La squadra dei cantanti è fortemente bilanciata da voci veterane del teatro e dal debutto di Lisette Oropesa. Qualità ne sfoggia la Oropesa, forza e vulnerabilità espressa in un timbro favoloso, pastoso, pieno di ombre e malinconie su di un tappeto di archi e ottoni, mai una sbavatura, mai un'intenzione espressiva o dinamica non riuscita – splendido “morrò d’amor” - canta il ruolo magistralmente.
As Elvira, Oropesa was able to overcome the challenges posed by the role from the very beginning, duetting with Gianluca Buratto's Giorgio in “Sai come arde in petto mio”, thanks to a gleaming, supple soprano, crystal-clear timbre, an effortless high register and a good command of thrills. She proved – contrary to many of her colleagues – that coloratura in operatic singing is not just an exhibition of vocal agility: it is the perceptible, theatrical evidence either of the anguish of the protagonist or of their outbursts of joy. And Oropesa moved masterfully through the score’s many demanding passages without losing dramatic focus.
“Qui la voce sua soave” was delivered with delicacy and an emotional charge of dramatic sense. In “Son vergin vezzosa”, Oropesa appeared in a stunning vocal form, with a sparkling sound and a precise staccato, with a charming tone across her whole range. She seemed at ease and confirmed herself as one of the best sopranos currently on the circuit.
Applaudita più di tutti è Lisette Oropesa, al debutto nel ruolo di Elvira: 'agilità sfoderata nei passaggi di bravura è ragguardevole, lo scintillio della voce non sacrifica l'eleganza della frase; è su que. sto terreno esclusivo che il soprano americano costruisce la performance, lasciando a cimenti futuri la possibilità di caratterizzare a fondo un personaggio che pure, nei tre atti, cambia pelle più volte.