Le buone notizie sono venute dalla parte prettamente musicale. Innanzi tutto dalla scelta della compagnia di canto risultata di grande valore. Osservata speciale era l’Amina del soprano statunitense di origine cubana Lisette Oropesa che in questa occasione affrontava per la prima volta in palcoscenico questo personaggio ‘mitico’ nella Storia dell’Opera. Possiamo senza dubbio dire che la Oropesa ha superato l’esame a pieni voti dimostrando di avere le caratteristiche per interpretare questa parte che, ricordiamo, fu scritta da Bellini per Giuditta Pasta, una delle cantanti preferite del compositore catanese. La Oropesa ha con molta evidenza ben preparato la sua interpretazione mostrando sicurezza nelle emissioni e facilità nell’affrontare le varie difficoltà che costellano la linea vocale affidata a questo personaggio. Inoltre evidenzia una più che soddisfacente presenza scenica che abbinata anche ad una efficace pronuncia la rende interprete ideale per questo ruolo. Il personale trionfo ottenuto al termine dello spettacolo è stato prorompente rendendola evidentemente molto soddisfatta della sua prova e del gradimento del pubblico.
Lisette Oropesa, undeniably a coloratura soprano, offered an interpretation that was poignant, evocative, and introspective. Her shimmering, luminous soprano voice, ideally suited for bel canto, effortlessly navigated the demands of the score. She delivered sparkling, flawless coloratura passages, breathtaking chromatic scales, and a vibrant, thrilling trill. However, these vocal feats were not mere showcases of her technical prowess; rather, they were wielded in service of the music and character portrayal.
Oropesa’s rendition of “Sovra il sen la man mi posa” in Act one was electrifying, brimming with cascading coloratura fireworks, yet imbued with the innocence and exuberance of a young woman on the cusp of marital bliss. The love duet with John Osborn (Elvino), “Son geloso del zeffiro errante,” emerged as a highlight, with both singers infusing their performances with heartfelt emotion; Osborn conveying loving jealousy, while Oropesa responded with reassuring tenderness. A superb performance.
Peccato doppio perché l’occhio soffre ma l’orecchio gode. Lisette vale tant’oro quanto Oropesa: leggermente contratta nella cavatina, realizza poi un crescendo vocale e interpretativo che culmina in un “Ah, non credea mirarti” da antologia. La voce è estesa, morbida, non enorme ma sempre piena; l’italiano, perfetto; il trillo, l’ottava meraviglia del mondo; l’interprete, intensa e anche saggia nella sua voluta semplicità, in un personaggio su cui volteggia ancora e sempre il fantasma della Maria.
Trionfo per la parte musicale e tonfo per quella scenica, con fischi e improperi. Cosa volete, noi siamo gente semplice, che ancora si commuove quanto una ragazza bravissima di New Orleans canta una di quelle melodie belliniane “lunghe, lunghe, lunghe”
Per fortuna il soprano ha offerto un’interpretazione magnifica quanto a qualità vocali, intonazione e fraseggi morbidissimi, sia nei momenti cantabili sia in quelli virtuosistici. Pagine immortali, come la cavatina e la cabaletta del primo atto “Come per me sereno…Sovra il sen la man mi posa” e la scena del sonnambulismo “Ah, non credea mirarti” sono state giustamente applaudite a scena aperta.
Der Belcanto ist der Spitzentanz unter den klassischen Gestalten des Gesangs - und Lisette Oropesa seit einigen Jahren unter den Sopranistinnen seine amtierende Königin. Schließlich beherrscht die US-Amerikanerin mit kubanischen Wurzeln alles, was eine Sängerin hier können muss: perlende Läufe, saubere Sprünge, Triller, rasante Verzierungen, in unterschiedlichen Artikulationen. Doch nichts davon klingt bei ihr technisch, gar mechanisch, weil der Grundton ihres Soprans warm ist, einen lyrischen und weichen Kern aufweist, der, stets umflort von einem sanften Schatten, einen hohen Wiedererkennungswert hat. Wie beim Ballett muss beim Belcanto das Künstliche natürlich wirken, das Akrobatische zum Ausdruck des Menschlichen werden - ein Spagat, den Oropesa so souverän beherrscht, dass sie für die ebenso ungewöhnlichen wie anspruchsvollen Rollen auch im Heimatland des Belcanto gefragt ist, in Italien.
Oropesa in Rom hören: Die vielen kleinen Noten kommen gestochen klar, aber nie pieksig daher; längere werden mittels feiner Binnendynamik belebt; Spitzentöne stechen nie grell aus der Linie, überstrahlen aber bei Bedarf mühelos den ganzen Chor. Und auch darstellerisch macht sie ihre Amina hier zum reizend weltfremden, in seiner eigenen Weise durchaus frechen Mädchen.
Was Lisette Oropesa auch in der berühmtesten Arie der Oper zugutekommt, die Bellini wirkungsvoll an den Schluss gestellt hat: "Ah! non credea mirarti". Denn Amina muss ein zweites Mal schlafwandeln, um ihre Unschuld zu beweisen, bevor die Hochzeit doch noch stattfinden kann. Was bestens ins Arienschema des Belcanto aus einem langsamen Cantabile und einer schnellen Cabaletta passt. Im Cantabile lässt Oropesa ihren schier endlosen Atem strömen, gibt ihm damit Dringlichkeit. Und dem Koloraturjubel der Cabaletta fügt sie selbstverständlich noch einige eigene, noch rasantere Wendungen hinzu. Wie sich das gehört, wenn man es kann.
Oropesa nella Sonnambula restituisce il piacere della complessi-tà, la raffinatezza del ricamo fitto, la trama che pur già densa e veloce riesce ancora di nuove spericolatezze, a sorpresa. Aggiunte peraltro sempre con la facilità sorridente tipica dei veri vincitori. Tutto sembra facile per lei. La lacrima non le appartiene, per ora, chissà forse domani. Infatti più che lo struggimento topico atteso dal Teatro romano traboccante in «Ah non credea mirarti», il cantabile finale, sospeso ancora tra sonnambulismo e realtà, travolge la girandola felice di «Ah non giunge uman pensiero». Perché questa è la cifra stilistica di Li-sette: caratteristica che la stacca dal pianto traboccante della Callas. Un applauso alle non imitatrici.
La presenza di Lisette Oropesa ha marcato inconfondibilmente questa Sonnambula, celebrando come si deve il suo esordio nel personaggio, subito collocato in una dimensione superiore.
Sono bastate poche note per apprezzare i sorprendenti colori della sua voce che si apre, piena e luminosa in ogni registro. Voce che giunge all’ascolto in uno smalto compatto e lucente.
Una partecipazione che ha innalzato la qualità dello spettacolo. Va da sé che la Oropesa abbia tratteggiato la sua Amina con tutti gli slanci e le trepidazioni del personaggio. E senza mai indulgere alla minima leziosità, sorretta com’è da un alto bagaglio tecnico e da una limpida coscienza stilistica, ai quali non fa ombra qualche impalpabile incertezza che la fatica, alla fine, ha fatto trapelare.
Lisette Oropesa, al debutto nel ruolo, canta benissimo e interpreta splendidamente: acuti, fioriture, trilli, espressione del viso e “parola scenica”. Non manca nulla. Ciliegina sulla torta, un Ah, non credea mirarti più Ah non giunge uman pensiero da antologia. Nonostante una regia fortemente discontinua, l’Oropesa riesce comunque a risultare magnetica sul palco e a polarizzare l’attenzione degli spettatori. Peccato solo per la mancata valorizzazione scenica della grande aria finale: un differente approccio registico avrebbe potuto condurre a un effetto catartico ancor più potente. Per lei non mancano applausi a scena aperta e ovazioni finali risonanti. Prosegue, insomma, la storia d’amore tra Lisette Oropesa e il Teatro dell’Opera di Roma, iniziata nel 2016 con un magnifico Rigoletto.
Lisette Oropesa, al debutto nel ruolo di Amina dopo essere stata protagonista con il lirico capitolino dell'opera-film La traviata per la regia di Mario Martone, ha dato sfoggio delle sue straordinarie capacità belcantistiche strappando applausi e 'brava' nei duetti come da sola nelle melodie più struggenti.
La Oropesa è un’Amina deliziosa, ingenua e tenera ma non manierata, anzi resa molto autentica e viva dalla toccante alternanza di momenti intensi di malinconia, felicità, drammaticità ed esultanza. Il suo timbro è particolare, comunicativo e simpatico, il suo stile e la sua tecnica sono inappuntabili.